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LA GIOIA È UN TURBINE DI QUIETE

RICORDANDO MARIO LUZI
Con Alfonso De Filippis, Sala Farinati Biblioteca Civica di Verona, 29 maggio 2015


BECCO D'ARGENTO
21 maggio 2015

Ieri sera, erano tantissimi i bambini che hanno dato vita alla mia favola Becco d'argento, musicata da Marilinda Berto: sul palcoscenico del Teatro Martinelli di Castelnuovo del Garda, gremìto, il coro dell'Accademia, il coro Canticuore delle colline moreniche diretto Maria Stefania Rossi, le gemelle Puiu al pianoforte, un clarinetto, un flauto, un vibrafono, e i bambini della Scuola di teatro, e ancora le bambine dell'Accademia di danza... alla direzione, Marilinda Berto.
La storia è semplice: un piccione dal becco d'argento la mattina era sempre contento; poi, alla sera, piangeva a dirotto come se avesse perduto un biscotto. Tutti si chiedono: cosa sarà? E cercano di consolarlo. Lui, però, ha le sue ragioni, e sono davvero molto forti...
Chissà, riusciremo prima o poi a farne un libro con CD: la musica è stupenda, e la storia regge meravigliosamente in palcoscenico - illustrata come si deve...

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GENOVA, 18 aprile 2015

A Genova, una bellissima esperienza: un incontro vero, tra persone coinvolte, che si sono messe in gioco. Qualche vanità qua e là, ma poca cosa. Incontri preziosi, di cui essere grati. Ho avuto l'onore di aprire l'incontro - un onore davvero: sono stato ascoltato e accolto con stima. Ecco ciò che ho detto (sono appunti, ma abbastanza chiari, spero):

Il 10 giugno 1942, Etty Hillesum scrisse: "Tutto è immensamente più difficile [...] e io vorrei rendere di nuovo tutto più leggero, ma non al punto che diventi una menzogna". A partire da queste parole, possiamo tentare una risposta alle tre domande essenziali che Massimo Morasso ci ha posto invitandoci qui, perché ci guardassimo in viso e ci ascoltassimo a vicenda. Chiede Massimo:
di che cosa parliamo quando parliamo di poesia?
perché i poeti nell'era dell'inconsistenza?
cosa vuole da noi la poesia?
La terza domanda mi sembra la più feconda, e la più vicina al ricordo e alla presenza del nostro amico e maestro, Mario Luzi, che vogliamo sentire vivo tra noi, nei pensieri che oggi ci scambiamo. In una sua poesia stupenda e indimenticabile, Vola alta parola, Luzi chiede alla poesia, mentre essa sale al proprio "celestiale appuntamento" di senso e di "significazione", di non abbandonarlo, e la implora così: "sii / luce, non disabitata trasparenza " (p. 589). È forse questo, esattamente, ciò che la poesia chiede, oggi, a ciascuno di noi.
Innanzitutto, è una questione di verità: la luce non può mentire né inventare. Può solo scoprire, trovare, accarezzare, rivelare, dispiegare ciò che esiste ed è racchiuso in se stesso, aprire e riscaldare ciò che giace raggomitolato su di sé nel buio e nel freddo. Può suscitare, risvegliare: è anche calore, vita che si dona alla vita. Non è "disabitata trasparenza", ma vita protesa, seme di vita che si slancia verso altra vita: un inizio che è anche, insieme, un ritorno.
(Se la nostra poesia fosse divenuta, chissà come, "disabitata trasparenza", il mondo farebbe bene a rifiutarla, e a relegarla ai margini del dialogo tra gli uomini, della cultura e dello scambio. Ma siamo qui per un incontro che ci rinnovi e ci rinfranchi, non per lamentarci di qualcosa).
È Paul Celan a riportarci alla verità della poesia, nel discorso che pronunciò a Darmstadt nel 1960, quando gli fu conferito il premio Georg Büchner, e a suggerirci ciò che la poesia può volere da noi. Ecco qualche spunto:
p. 14: "il poema parla [...] sempre e soltanto, rigorosamente, in prima persona"
È la prima caratteristica della poesia: essa è essenzialmente un gesto, un'offerta: insieme, è un rischio, un azzardo. Chiede un coinvolgimento vitale, totale, esistenziale; è un esporsi, un offrirsi, un protendersi "in prima persona".
p. 14: "io ritengo che da sempre tra le speranze del poema vi sia quella di parlare in tal modo anche per conto di estranei - no, questa parola ormai non posso più usarla - di parlare, precisamente in tal modo, di parlare per conto di un Altro - chissà, magari di tutt'Altro".
Per Paul Celan, la poesia ha delle speranze: offrendosi, tenta e confida. Spera di dire anche per conto di altri: offre se stessa, ma non per rimanere né per finire in se stessa, e neanche partendo da se stessa. Porta altri con sé, parte da loro, rappresenta sé ma soprattutto loro, quelli che non può chiamare "estranei": non più! Addirittura, Celan afferma che, quando accade "precisamente", cioè come davvero dev'essere, la poesia è un "parlare per conto di un Altro" con la A maiuscola. E quando aggiunge: "chissà, magari di tutt'Altro", ci sta insegnando a osare non solo la speranza ma anche la sua inseparabile sorella, l'umiltà. "Chissà" è la parola più umile che esista: "Tutto è così difficile, impossibile. - scrisse Umberto Bellintani - Ma chissà. / È nel mistero il clamore bianco della gioia". Ci vuole coraggio per essere umili; e San Francesco, nel Cantico che dà inizio alla nostra letteratura, sotto il segno della speranza e dell'umiltà vissute fino all'eroismo, chiama "umile" l'acqua - limpida e preziosa.
p. 15: "Il poema rivela, ed è innegabile, una forte inclinazione ad ammutolire [...] Il poema [...] si afferma al margine di se stesso. [...] Il poema è solitario. Solitario e in cammino. Chi lo scrive gli rimane inerente".
Mutismo, solitudine della poesia: Celan rifiuta esplicitamente qualunque diagnosi infausta legata alla contingenza (al mutare della lingua, della società, delle modalità di comunicazione nella cultura) e ci richiama alla marginalità che è innata nella poesia: la poesia, ci dice, si afferma "al margine di se stessa". La poesia ha in sé una speranza umile e coraggiosa, che sa astenersi dal potere, da ogni pretesa, persino dalla legittima aspirazione a una presenza piena e riconosciuta: vive nel mondo in modo delicato, discreto, disarmato, e anche accorto, attento; si offre a proprio rischio, ma non pensa nemmeno ad imporsi.
pp. 15-16: "Ma allora il poema non si colloca, proprio per questa ragione, dunque già a questo punto, dentro l'incontro - dentro il mistero dell'incontro? Il poema tende a un Altro, esso ne ha bisogno, esso ha bisogno di un interlocutore. Lo va cercando: e vi si dedica".
C'è un verso di Hölderlin, che Celan riprese per confrontarsi con il silenzio di Heidegger: Seit ein Gespräch wir sind, "da quando noi siamo un colloquio"... Lo siamo dall'inizio del tempo, dalla creazione del mondo, dalla nascita di ognuno e dal principio dell'intero universo. È questo più grande mistero dell'uomo e del mondo (che si riflettono, così, l'uno nell'altro, macrocosmo e microcosmo), e la poesia si colloca esattamente lì: attraverso l'attenzione estrema a ogni aspetto del reale, a tutto ciò che appartiene alle cose e alle persone, la poesia "diventa colloquio" (è sempre Celan a notarlo, ma anche Cristina Campo, e Simone Weil) - "spesso un colloquio disperato" (p.16). Non significa che dobbiamo essere ascoltati e trovare risposta: significa che dobbiamo esserlo noi, un colloquio, interiormente - siamo poeti da allora, "da quando siamo un colloquio"; e lo saremo soltanto finché saremo "un colloquio".
Pensiamo a Mario Luzi, e all'incessante interrogare che caratterizza le sue poesie, specie le più tarde; e rileggiamo i suoi versi sorprendenti e minuziosi sugli uccelli e sui pesci, sull'acqua e sull'aria - attenzione estrema, accoglienza di tutto ciò che vive, e quel "parlare per conto di" a cui accenna Celan: persino per conto delle pernici, delle rondini e delle trote.
Da questo dono di Mario Luzi possiamo oggi ripartire ristorati e ristabiliti nella nostra identità: farci colloquio - parlare di, per, con, a qualcuno che ci è necessario, ma che non è tenuto né a risponderci né ad accorgersi di noi; accogliere ognuno nell'attenzione; stare al margine delle parole stesse, cime viandanti discreti che rasentano i bordi del sentiero anziché occuparlo con la propria mole; umiltà e coraggio della speranza; essere "luce, non disabitata trasparenza" - ognuno a modo proprio, quando e come potrà: non sempre! "Davvero - scrisse Etty Hillesum - non è che tu debba essere sempre ispirata, puoi anche affidarti tranquilla alla stanchezza" (p. 22).
Essere "luce, non disabitata trasparenza": la luce rivela e suscita; non dà gloria a se stessa, ma dona gloria alle forme e ai colori; non dispera delle cose, ma le cerca. "La poésie - scrisse ancora Celan nel 1969, in francese - ne s'impose plus, elle s'expose": non si impone più, la poesia; si offre, si espone, a proprio rischio e senza alcuna garanzia; può essere, anche e spesso, un "colloquio disperato" - spesso, lo è.
"Come sorte?", ci chiede ancora una poesia di Mario Luzi (p. 1042). La risposta - altro dono del nostro amico e maestro - non ammette repliche: "Come sorte e come grazia". La grazia di essere in cammino, assieme al suo ricordo e come il suo Simone Martini, per un "viaggio terrestre e celeste" al tempo stesso.


IN VIAGGIO VERSO GENOVA
per una bella iniziativa che mi coinvolge, in ricordo di Mario Luzi.
Credo di aver assimilato le sue poesie fino ai limiti del credibile, e di averne avuto grandi doni.
E lui fu davvero gentile con me, che nulla avevo da offrirgli in contraccambio.
Che strano, da tanti anni non scrivo poesie, e vado tra i poeti a parlare di poesia,
invitato come poeta. Non so se è un definitivo compimento, la parola fine, o un inizio nuovo,
tra la poesia e me. Non posso dirlo, anche se ciò che scrivo per i bambini è esattamente
ciò che ho scritto per gli adulti, né più né meno - pochi se ne rendono conto, ma è così;
la differenza è che i bambini comprendono, stimano, apprezzano, salvo rare eccezioni;
gli adulti, meno, salvo rare eccezioni. E non gliene faccio una colpa.

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12 marzo 2015
SIAMO NEL BENE
Passare le domeniche così, come ho passato la domenica scorsa (8 marzo), riempie il cuore di una fiducia rinnovata, e fa ritrovare energie perdute, come se tutto si rinnovasse nell'anima, come se tutto rinascesse. Bambini ovunque: il Piccolo Palio del Drappo Verde, nel centro di Verona - e noi, per la terza volta, a portare i bambini in giro per Verona, raccontando in rima la storia di Cangrande che ha perduto la sua spada: le nostre amiche e i nostri amici dell'Associazione, e poi tante famiglie, e centinaia di bambini, e le funzionarie del Comune di Verona, che lavorano seriamente, con mille difficoltà ma senza un lamento. Facciamo cose buone, viviamo nel bene: questo solo conta. E poi, se davvero ci si rende conto di essere nel bene, c'è posto per tutto: la fatica del lavoro, la preoccupazione per le malattie, la vecchiaia dei genitori, le mille cose da fare, le ansie per il futuro, la costernazione per un mondo in cui i "furbi" sembrano trionfare sempre, come anguille che si divincolano nel terreno paludoso, è davvero è così: la palude è il loro territorio, e sanno come muoversi. Ma la vita è questa: la vita vera. Il resto è fiction: questi bambini e le loro famiglie, queste funzionarie del Comune, questi appassionati che hanno riempito Piazza delle Erbe con gli antichi mestieri e i giochi antichi, le nostre illustratrici e i nostri collaboratori, e ancora mia suocera costretta a letto, sua sorella col femore rotto, mio padre che fatica a camminare, i miei studenti che hanno bisogno di un amore quotidiano paziente e condiviso: noi siamo la realtà. Oh, sì: è resteremo per la vita eterna, se saremo fedeli a questi doni. Martedì, poi, sono stato a trovare i ragazzi della prima media della scuola di Zevio: hanno conosciuto Verona leggendo il nostro Cangrande è la spada che non c'è, ne conoscono molti brani a memoria, lo recitano e ne godono; e le loro professoresse li hanno guidato così a scoprire Verona e Zevio, immaginando Cangrande che cerca la spada a Zevio... Mi hanno fatto mille domande, mi hanno letto i loro racconti, mi hanno recitato i versi di Cangrande. Loro sono la realtà. Loro resteranno per la vita eterna.
Di fronte a tanto bene, mi sento inadeguato, e provo timore. Non vorrei esserne indegno. Ma ho fiducia in Dio: penserà lui.

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27 gennaio 2015
Giornata della Memoria in Biblioteca Civica, Verona
In ascolto della poesia di Paul Celan

Come un faro puntato sulla sua poesia, sul suo testimoniare e patire, sul suo sperare e tentare di vivere ancora. Così ho cercato di essere. La saletta era piena ai limiti della capienza: silenzio, attenzione, coinvolgimento. Grazie alle mie lettrici, Maddalena Cavalleri e Daniela Bindinelli, e alle musiche di Marilinda Berto. Gerusalemme esiste; esistono le nostre "consolazioni di neve", e una "piccola notte" che può accoglierci "lassù, / tre misure di dolore al di sopra del terreno" - dove potremo, comunque, essere vivi.

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PAUL CELAN, FRATELLO DI TENEBRA E LUCE, CHE TANTO MI HAI ACCOMPAGNATO
12.01.2015
Ho sempre amato Paul Celan: nelle sue poesie ho infinite volte compreso me stesso. Oggi, presso la Biblioteca Civica di Verona, è stata installata una mostra curata da me proprio su di lui. È stata una gioia vederla. Ho cercato di rendere chiare le sue poesie, di farle apprezzare - non che non possano farlo da sole, ma un aiuto non mi è sembrato di troppo. Spero che chi legge possa gustare e trovare cibo, conforto, sostegno, vicinanza. Da parte di Paul Celan, e anche da parte mia.

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Ritrovando due poesie su un Moleskine
16.12.2015

Volendo, avrei qualcosa come un rosso
movimento, un tuffo in cuore, o forse
il folto di un'aperta melagrana -
i semi, Layla, i folli
pronti a porgersi, vibranti:
e solo tu lo sai che anch'io lo voglio.

* * *

Layla, se il segreto della mano
fosse aprirsi solamente, come
foglia o rosa, come
libro a dire il mondo - fosse
questo, sai, sarebbe inganno
il sottobosco e mentirebbero
le rose nell'inverno, nere e chiuse:
mentirebbero le attese e le stagioni.

16.04.2014
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LA GIOIA È UN TURBINE DI QUIETE - Sito di  Lorenzo Gobbi


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