Fëdor Dostoevskij
Ero all’Università, al I o II anno, non ricordo. Stavo scoprendo autori che saziavano la mia fame di significato, che non colmavano ma illuminavano la solitudine in cui vivevo, smarrito nei chiostri gelidi dell’Università Cattolica di Milano, che ricordo per lo più avvolti in una nebbiolina tenue e umidissima, scarsamente illuminati: uscivo a sera, d’inverno, dall’Istituto di Filologia Classica dove andavo a studiare sotto lo sguardo sospettoso dei commessi, pronti a espellerti con ira se ti cadeva per sbaglio una matita o se inciampavi nella borsa di qualcuno, ma intenti a girare tra i tavoli della biblioteca facendo tintinnare a più non posso il pesante mazzo di chiavi che portavano appeso alla cintura (gli studenti, a quell’epoca, non erano considerati né i fruitori di un servizio né una risorsa per nessuno...). Una sera, l’algida e solenne libreria Vita&Pensiero, quasi all’uscita del chiostro principale, dove si acquistavano i libri per gli esami chiedendoli al banco e solo fornendo la segnatura completa di ogni dato e dove era impensabile che si fosse autorizzati a scartabellare liberamente tra gli scaffali, era ancora aperta. C’era un libro in vetrina, uno tra i tanti; non so perché, attirò il mio sguardo - era Il giocatore di Dostoevskij nell’edizione economica degli “Oscar” Mondadori, scontato chissà perché al 50%. Lo comprai d’istinto, appena un istante prima che il libraio di turno (sempre gentile con gli studenti, almeno lui) chiudesse la cassa per i conti della serata. Tornai al pensionato di via Boeri, entrai salutando i “senza fissa dimora” che uscivano dal loro albergo diurno per andare a passare la notte chissà dove (la loro struttura occupava il seminterrato, mentre ai piani superiori c’erano delle stanze affittate a lavoratori e studenti) e mi accordai con alcuni compagni per scendere a breve nella piccola cucina in cui ci era permesso preparare una pasta o qualcosa del genere - dipendeva da chi cucinava: il mio compagno di stanza era del Burundi, ma c’erano molti altri africani, diversi arabi, qualche coreano e per un certo periodo persino un giapponese. Mi stesi sul letto e aprii Il giocatore con l’intenzione di dare un’occhiata veloce prima di scendere in cucina: avevo studiato già tutto il giorno, ma avevo intenzione di studiare ancora dopo cena, magari fino a tardi, come facevo molto spesso. Invece, rimasi disteso sul letto leggendo Il giocatore tutto d’un fiato, senza pause, fino all’ultima pagina - fino alle tre di notte. Così, mi si aprì il mondo di Dostoevskij, che condivisi con il mio amico Charlie: leggemmo in contemporanea I Demoni (lui si identificava con Stavrogin, almeno in potenza, chissà mai perché; io, invece, con Ivan, l’innamorato, l’ucciso), I fratelli Karamazov (io mi sentivo simile ad Alësa, Charlie invece a Ivan), L’idiota (io totalmente proiettato in Miškin, Charlie non ricordo più in chi), e poi Le notti bianche, Il sogno di un uomo ridicolo, Ricordi dal sottosuolo, La mite, L’adolescente... Però, fu Delitto e castigo quello che mi colpi di più: vi ritornai più e più volte, nei decenni. Il dramma di Raskol’nikov mi sembrava il teatro disgustoso dell’orgoglio beffardo, della pretesa smisurata; in Sonja, invece, vedevo l’immagine del Cristo come lo intuivo, o meglio, come lo sognavo sentendomene terribilmente colpevole: nessun Dio, meno che mai il nostro che ci prepara l’inferno ma distribuisce tra noi sofferenze e morti “redentrici” per permetterci l’espiazione, può essere misericordioso come Sonja lo è con Raskol’nikov; nessuna chiesa accoglierebbe Sonja, meno che mai quello in cui vivevo allora - Sonja non ha nulla di cui pentirsi, pur essendo lei stessa un peccato da espiare; per Raskol’nikov non c’è speranza se non nel castigo che non vuole, nel pentimento a cui non intende sottomettersi, nella sofferenza a cui non ritiene giusto andare incontro - così obiettavano i miei “sabotatori interni”. E poi: Cristo rappresentato, incarnato in una prostituta di strada come quelle che allora si vedevano a frotte ai bordi delle circonvallazioni... C’era anche Marmeladov, accanto e dietro a Sonja: un padre crudele e arbitrario come quasi tutti i padri che appaiono nei romanzi di Dostoevskij - come molte tra le autorità “paterne” che conoscevo allora, tra Chiesa cattolica e università. La leggenda del Grande Inquisitore, del resto (della quale discussi all’infinito con Charlie), mi suggeriva con chiarezza fino a dove può spingersi il delirio del potere, specie se esso divinizza se stesso e il proprio arbitrio, e si crede capace di “correggere l’opera” di Dio stesso, riuscendo anche a convincere molti che va bene così.
Nella tetra primavera del 2020, durante il primo lock-down e la prima ondata della pandemia (mio padre ne è stato vittima, morendo solo e venendo poi sepolto in tutta fretta, senza un rito funebre; mia madre si è ammalata gravemente, ma è stata salvata), è riaffiorata in me una domanda cruciale: quale chiesa accoglierebbe Sonja? Ciò che Sonja è e ciò che ella fa per Raskol’nikov non è soltanto ciò che Dio è e ciò che egli fa per noi (il Dio in ciò credo ora, almeno, senza più sentirmi né colpevole né blasfemo), ma anche ciò che potremmo fare gli uni per gli altri: esiste, dunque, una “grazia” laica? È possibile?
È nato così Nicodemo a San Pietroburgo. Dostoevskij, due donne e la laicità della grazia, uscito ai primi di marzo 2021 presso Mimesis, nella collana “PHILO - Pratiche filosofiche”.
Nella tetra primavera del 2020, durante il primo lock-down e la prima ondata della pandemia (mio padre ne è stato vittima, morendo solo e venendo poi sepolto in tutta fretta, senza un rito funebre; mia madre si è ammalata gravemente, ma è stata salvata), è riaffiorata in me una domanda cruciale: quale chiesa accoglierebbe Sonja? Ciò che Sonja è e ciò che ella fa per Raskol’nikov non è soltanto ciò che Dio è e ciò che egli fa per noi (il Dio in ciò credo ora, almeno, senza più sentirmi né colpevole né blasfemo), ma anche ciò che potremmo fare gli uni per gli altri: esiste, dunque, una “grazia” laica? È possibile?
È nato così Nicodemo a San Pietroburgo. Dostoevskij, due donne e la laicità della grazia, uscito ai primi di marzo 2021 presso Mimesis, nella collana “PHILO - Pratiche filosofiche”.