Rainer Maria Rilke
Non torno spesso a Rilke: eppure, l’ho amato immensamente tra i 20 e i 40 anni. Per la verità, ho amato soprattutto il “primo” Rilke: quello che offre squarci folgoranti pur nel mezzo di leziosità un po’ morbose nelle Frühen Gedichte (Prime poesie) e nello Stundenbuch (Libro d’ore), ma soprattutto io giovane poeta (ventottenne!) che scrive una serie di Lettere a un giovane poeta e testimonia l’intuizione inimmaginabile della pazienza come necessità della giovinezza e la ragionevolezza irrinunciabile del prendersi cura di sé senza disprezzarsi per le tante incertezze, esitazioni e debolezze che dovrebbero invece portare a una cura più attenta; e poi, la presenza del sesso come compito difficile e dell’amore come reciprocità autentica. Invece, non ho mai amato né tradotto il Rilke gnostico e “poetologico” del periodo più tardo: lo ammiro, certo, ma lo sento lontano da me (e da tutto ciò che mi vedo attorno). Rileggo spesso le lettere, se ho desiderio di rileggere qualcosa, ma sempre più raramente. Del resto, ho passato vent’anni a tradurlo, e credo che, da un certo punto di vista, possano bastare...
Per l’edizione del Libro d’ore, ho avuto nel 2012 il Premio dell’Accademia Mondiale della Poesia dell’UNESCO.