Chitarra classica
Chissà perché, tra i 22 e i 42 anni non ho suonato quasi mai: ho studiato, lavorato, tradotto, scritto, pianto, sperato e soprattutto amato - suonato, invece, proprio no. Eppure, con la mia chitarra avevo trascorso ore meravigliose nell’infanzia e nell’adolescenza: ho ripreso a trascorrerle, ormai da più di un decennio, quando posso, senza pretendere di raggiungere i livelli di un maestro ma con pura gioia. Il suono mi dà pace, le mani si muovono sicure sulla tastiera e l’addome vibra al contatto con la cassa armonica.
Vent’anni fa - quando per un brevissimo periodo ripresi a suonare per lasciare subito dopo - scrissi così:
Layla, forse tornano le dita
alle sei corde per tentare ancora
una carezza sui silenzi
eterni della vita. Penso
tanto a ciò che attende, sento
sempre che nell’aria e nella terra
veglia un popolo nascosto
e si protende per un gesto
di bontà, di tenerezza
in forma umana e chiede
un posto piccolissimo nel mondo.
Io vorrei davvero dare ascolto,
uscire piano, quietamente
incontro a loro - umanamente...
La sera in cui morì mio padre, vittima della prima ondata della pandemia dovuta al Coronavirus nel marzo 2020, non mi sentivo di rispondere ai messaggi, alle telefonate e alle mail che chissà come mi giungevano, né di stare in videochat con gli amici su Skype: così, ho preso la chitarra che non suonavo da tempo e ho registrato un breve videoterminale mandarlo a chi mi aveva cercato. Sullo sfondo, si sente la voce di mia moglie che conversa con gli amici radunati in video (eravamo in periodo di rigidissimo lock-down, e mio padre è morto completamente solo, come tanti altri in quel periodo): mi sembra questa la parte migliore della registrazione.
Altre volte, suono durante conferenze e incontri di formazione: