Chitarra classica
Chissà perché, tra i 22 e i 42 anni non ho suonato quasi mai: ho studiato, lavorato, tradotto, scritto, pianto, sperato e soprattutto amato - suonato, invece, proprio no. Eppure, con la mia chitarra avevo trascorso ore meravigliose nell’infanzia e nell’adolescenza: ho ripreso a trascorrerle, ormai da più di un decennio, quando posso, senza pretendere di raggiungere i livelli di un maestro ma con pura gioia. Il suono mi dà pace, le mani si muovono sicure sulla tastiera e l’addome vibra al contatto con la cassa armonica.
Vent’anni fa - quando per un brevissimo periodo ripresi a suonare per lasciare subito dopo - scrissi così:
Layla, forse tornano le dita
alle sei corde per tentare ancora
una carezza sui silenzi
eterni della vita. Penso
tanto a ciò che attende, sento
sempre che nell’aria e nella terra
veglia un popolo nascosto
e si protende per un gesto
di bontà, di tenerezza
in forma umana e chiede
un posto piccolissimo nel mondo.
Io vorrei davvero dare ascolto,
uscire piano, quietamente
incontro a loro - umanamente...
Dall’età di 16 anni, suono una Ramirez del 1977; non me ne separerei mai.
La sera in cui morì mio padre, vittima della prima ondata della pandemia dovuta al Coronavirus nel marzo 2020, non mi sentivo di rispondere ai messaggi, alle telefonate e alle mail che chissà come mi giungevano, né di stare in videochat con gli amici su Skype: così, ho preso la chitarra che non suonavo da tempo e ho registrato un breve videoterminale mandarlo a chi mi aveva cercato. Sullo sfondo, si sente la voce di mia moglie che conversa con gli amici radunati in video (eravamo in periodo di rigidissimo lock-down, e mio padre è morto completamente solo, come tanti altri in quel periodo): mi sembra questa la parte migliore della registrazione.
Altre volte, suono durante conferenze e incontri di formazione: